Quando si parla di piattaforme petrolifere offshore – o in mare aperto – il rischio è quello di generalizzare e ragionare per luoghi comuni. A pensarci bene, è lo stesso termine piattaforma a risultare alquanto generico, perché in fondo è abitudine assai diffusa confondere perforazione con l’estrazione degli idrocarburi presenti in diversi giacimenti marini. Essi sono presenti sia in acque poco profonde – sotto i cinquecento piedi – che oltre 1500 piedi di profondità, che definiscono il limite di acque profonde. Per arrivare alle acque ultra-profonde dobbiamo superare i cinquemila piedi. Stando ai dati del ministero dello Sviluppo economico, nel nostro paese ci sono all’incirca centoquaranta piattaforme offshore. La maggior parte nell’Adriatico, ma ve ne sono diverse anche più a sud, nel canale di Sicilia. Al momento sedici – di cui 10 entro le 12 miglia – sono prossime al termine del loro ciclo produttivo Nel mondo ve ne sono migliaia ancora attive, di cui cinquecento soltanto negli Stati Uniti, almeno secondo i dati diffusi da Baker Hughes. Un dato rilevante, ma ben distante dal picco registrato nel 2014, quando erano più di 1600. La perforazione offshore può rinvigorire le economie nazionali anche in paesi poveri di petrolio nel sottosuolo, dove quindi la trivellazione terrestre non produrrebbe alcun riscontro in termini di fabbisogno energetico o benefici in ambito economico.

Oltre le generalizzazioni

Le piattaforme petrolifere offshore consentono il soddisfacimento della domanda che su scala globale non ha conosciuto significative battute d’arresto, nonostante la diffusione di fonti alternative quali energia eolica ed energia solare. Anche perché, e vale la pena ricordarlo, il petrolio stesso è soggetto a frettolose generalizzazioni. Non è infatti soltanto sinonimo di carburante, ma trova ampio utilizzo nell’industria petrolchimica per ricavare sostanze come plastica, tessuti sintetici –  vedasi il neoprene – o tessuti. L’attività di perforazione ed estrazione avviene secondo procedimenti diversi. Piattaforme di perforazione e produzione includono elementi comuni, quali

  • Una torre di trivellazione preposta ad ospitare attrezzature come trapani, tubi e cavi necessari
  • Un eliporto per l’atterraggio degli elicotteri
  • Gru per consentire alle navi di supporto alla piattaforma di caricare o scaricare materiali da utilizzare o utilizzati
  • Gruppi elettrogeni per la fornitura di energia necessaria al personale per il lavoro e la permanenza
  • Battelli per consentire l’evacuazione di tutti gli addetti ai lavori in caso di incidenti, o eventi che possano comportare un rischio per la sicurezza generale.

Avamposti dell’ingegneria umana

Fisse, mobili, versatili

Le piattaforme petrolifere offshore sono uno degli avamposti dell’ingegneria umana, ed intervengono nel momento in cui analisi e indagini geologiche evidenziano la presenza di idrocarburi. Una piattaforma fissa offshore non potrebbe operare se non fosse ancorata saldamente al fondale marino. In genere è rivestita in acciaio e ha una base pesante in acque normalmente poco profonde (fino a 120 metri di profondità). Altre sono fissate al fondo del mare tramite cavi di tensione e non mancano unità mobili che possono essere spostate da un luogo all’altro. Tra le piattaforme mobili rientrano navi con impianti integrati come le chiatte di perforazione, generalmente utilizzate in fase di esplorazione o i jack up. I jack up sono unità mobili predominanti in mare. Questi impianti sono posti su una chiatta galleggiante, sospesi sopra lo scafo. La loro fisionomia è abbastanza riconoscibile grazie alla presenza di più elementi, quali

  • Uno scafo che funge da punto d’alloggio per apparecchiature, operatori. Lo scafo deve assecondare il galleggiamento e sostenere il peso e le forze delle gambe.
  • gambe estensibili che possono essere alzate o sollevate su fondali non troppo profondi, intorno ai 160 metri di profondità. Queste gambe forniscono stabilità alla struttura per contrastare i carichi ambientali e di lavoro.
  • Il sistema di sollevamento permette di abbassare e sollevare le gambe. Questo meccanismo è fondamentale per l’auto sollevamento del jackup. Quando il jackup completa la sua missione, lo scafo viene riabbassato al punto di galleggiamento, le gambe vengono risollevate e la struttura può essere spostata altrove.

L’esplorazione dei fondali marini per ottenere la perforazione e l’estrazione del petrolio è possibile anche per mezzo di impianti alternativi, come la nave di perforazione che può operare fino a una profondità di 3,7 chilometri grazie a un trapano che passa attraverso un foro nello scafo. Oppure mediante impianti semisommergibili convertiti in piattaforme di produzione non appena viene individuato il petrolio in seguito ad attività di perforazione.

Sicurezza e prevenzione

Viste da lontano, le piattaforme offshore potrebbero apparire poco sicure. Naturalmente, la sicurezza è una questione prioritaria. In tal senso, nel nostro paese la direttiva 2013/30/UE è un punto di riferimento per regolamentare un lavoro che è fisicamente, oltre che mentalmente impegnativo. Non bastano quindi solo le normative: occorre garantire a tutti i lavoratori condizioni di vita ottimali, il giusto riposo così come un adeguato turn over. E’ per questo che ciascuna rotazione di lavoro è in genere seguita da un piano ferie programmato: le ferie sono quantificabili in un arco temporale variabile, a seconda delle disposizioni specifiche e delle esigenze dei singoli per il beneficio di tutti.