Il recupero di relitti in mare attiene a una serie di procedure vincolate da aspetti normativi in ambito nazionale e internazionale. In Italia, la normativa di riferimento fa capo all’articolo 510 del codice Della Navigazione e a diversi articoli del Codice civile. Nel primo caso, è stabilito che in seguito a ritrovamento di relitti in mare viga l’obbligo per il soggetto di denuncia all’autorità marittima più vicina entro tre giorni. Quest’ultima dà comunicazione ufficiale perché il proprietario possa rivendicare la proprietà dei beni in mare. In caso contrario, trascorsi sei mesi si bandisce un’asta. Per quanto concerne il ritrovamento e la conservazione di reperti di interesse artistico/archeologico si esprimono alcuni articoli del Codice civile. La presenza dei relitti in acque italiane o internazionali, così come la natura giuridica del proprietario, sono parametri in grado di influenzare il decorso delle procedure e della gestione amministrativa.
Recupero dei relitti e dei beni: cosa dice la legge
L’ordinamento italiano stabilisce che in caso di ritrovamento di beni, subacquei o sommozzatori non acquisiscano automaticamente diritti di proprietà, poiché si riconosce al proprietario il diritto di rientrarne in possesso. Pertanto, in caso di recupero di relitti bisogna attenersi alla normativa vigente, considerando che altrimenti si rischia di incorrere in sanzioni pecuniarie severe. Nonché in pene detentive fino a tre anni nell’eventualità che la mancata denuncia si configuri come reato di appropriazione indebita e furto ai danni dello Stato. Ulteriori aggravanti – quantificabili in una maggiorazione di pena pari a un terzo – sono previste laddove chi si appropria di un bene dopo il suo ritrovamento è un membro del personale marittimo. Di contro, la legge tutela coloro che si sono incaricati delle operazioni di recupero, in quanto prevede erogazioni di compensi e rimborsi. Ciò avviene anche quando il proprietario non si presenta entro i sei mesi della comunicazione ufficiale di ritrovamento.
Beni archeologici e di interesse storico-culturale
Data la possibilità di indire un’asta, è previsto che parte del ricavato della vendita sia devoluto al ritrovatore sotto forma di compenso e rimborso per le spese sostenute in caso di recupero di relitti. Perché la comunicazione sia regolare non devono mancare informazioni relative a data, luogo, ora del ritrovamento, natura dell’oggetto. I beni archeologici sono sottoposti a norme diverse, che il Decreto legislativo del 22 gennaio 2004 n.42 ingloba in una normativa denominata Codice dei beni culturali e del paesaggio. Quest’aggiornamento è importante perché ha
- distinto i beni di interesse storico o paesaggistico da quelli di rilevanza artistica o di valenza in ambito etnoantropologico
- ribadito che beni, navi e galleggianti del sottosuolo appartengono allo stato, e quindi sono di proprietà del demanio
- attribuito ai soggetti la responsabilità di lasciare i reperti nel luogo del ritrovamento e di inoltrare denuncia alle autorità competenti entro 24 ore.
Normativa europea e convenzione di Nairobi: focus sulla sostenibilità
Dato il regolamento (UE) 1257/2013, la normativa europea attinente al recupero di relitti è focalizzata sulle modalità di rimozione, demolizione e riciclo sostenibile. È evidente che la presenza di relitti possa costituire un pericolo per l’ecosistema, data la presenza di eventuali componenti altamente impattanti e inquinanti, specie se lasciati a lungo sui fondali. In base alla convenzione di Nairobi che molti paesi UE hanno ratificato nel 2007 sussiste per le autorità portuali il dovere di procedere secondo norme di trasparenza e pubblicità prima di intraprendere le operazioni di rimozione, demolizione, riciclo. Pertanto, se da un lato l’obiettivo principale è contrastare l’inquinamento ambientale, dall’altro si ribadisce che tutte le attività e le operazioni necessarie al recupero di relitti debbano avvenire nel rispetto dei principi di evidenza pubblica. In altre parole, occorrono leggi trasparenti per avere – o ritrovare – acque ancor più trasparenti.
Un (mancato) recupero di relitti: il caso della Berkan B.
Secondo la legge italiana, il proprietario ha la responsabilità in materia di rimozione e smaltimento dei relitti. La mancata individuazione determina un passaggio di responsabilità all’Autorità Marittima, autorizzata alla vendita del relitto o al suo smaltimento in caso di abbandono. Esiste un fondo nazionale per il finanziamento della rimozione di navi abbandonate, compresi i relitti, in particolare nelle aree portuali. Molti potrebbero pensare che il recupero di relitti sia materia di letteratura, e che non abbia ripercussioni significative sull’attività portuale. In realtà, secondo stime ufficiali il numero di imbarcazioni abbandonate ammonterebbe a diverse centinaia. Considerando i rischi ambientali derivanti da lunghe soste e condizioni di degrado, è sempre opportuno tenere a mente leggi e responsabilità. In caso contrario, si rischia di ripetere quanto accaduto a Ravenna con la motonave Berkan B in seguito alle insolvenze dell’armatore e il successivo abbandono.
Mariter, risorse e competenze per operazioni di rimozione
Gli eventi che hanno preceduto e seguito l’affondamento hanno confermato le difficoltà di autorità portuali e capitanerie di porto nel gestire navi abbandonate. Per far fronte a operazioni particolarmente complesse, è importante operare in modo sinergico e far confluire le competenze perché il recupero di relitti possa avvenire senza problemi e tempestivamente. Così come lo smaltimento dei rifiuti in mare, che minacciano la fauna marina e l’ecosistema. Quando si procede alla rimozione di relitti, si lavora per ridurre l’impatto sull’ambiente e anche sul traffico marittimo. Mariter lo sa bene. Ecco perché mobilita unità e attrezzature specifiche, introduce competenze, incentiva l’uso delle migliori risorse per
- prevenire l’inquinamento marino
- attivare sistemi di trasferimento di carichi
- procedere con squadre di intervento attrezzate
- puntare su saldatori subacquei specializzati

