I controlli non distruttivi – spesso identificati attraverso l’acronimo di CND – rivestono un ruolo fondamentale nell’ambito della manutenzione delle infrastrutture, come le strutture petrolifere off-shore di cui Mari Ter si occupa da oltre un decennio. Sono sinonimo di tecnica non invasiva perché non si ricorre a prove meccaniche o sollecitazioni per testarle. Questo metodo di indagine ha conosciuto negli anni un’ampia diffusione, anche a causa di una crescente consapevolezza delle sue potenzialità. L’uso di strumenti sempre più sofisticati garantisce effetti nel breve, medio e lungo termine. Non solo perché i pezzi testati hanno una vita più lunga. Se effettuata nei tempi e nelle modalità opportune, la diagnostica dà modo di prevedere l’insorgenza di guasti o rotture future, con ripercussioni positive in termini di progettualità mirata a costruzioni leggere e resistenti. Si può dunque parlare di riparazioni nell’ottica di una strategia preventiva anche per strutture sommerse, offshore. Tanto da renderle sempre più stabili e sicure, funzionali e al riparo da incidenti.

Una storia antica

La formalizzazione di tecniche specifiche è iniziata nel XX secolo; tuttavia, artigiani e costruttori cercavano di valutare la qualità dei materiali senza danneggiarli già in tempi antichi. L’industria aereonautica ha fatto ampio uso dei controlli non distruttivi durante la Prima guerra mondiale, per accertarsi della qualità delle saldature o dell’eventuale presenza di difetti interni tramite la tecnica della radiografia. Durante la Seconda guerra mondiale, tecnici e ingegneri si sono serviti degli ultrasuoni e della magnetoscopica per ispezionare navi e aerei utilizzati con finalità belliche. Nel dopoguerra, e negli anni successivi diverse organizzazioni hanno sviluppato linee standard per garantire maggiore qualità e affidabilità, nonché la formazione del personale addetto all’esecuzione dei test sul campo.

Veloci, efficaci, economici

Alla base dei controlli non distruttivi, c’è un’attività pianificata e mirata per intervenire tempestivamente. Il monitoraggio continuo non è solo un buon requisito per preservare opere e infrastrutture: è fondamentale anche in ottica di risparmio, perché il ripristino totale dell’integrità di un materiale o un componente comporterebbe costi maggiori. I test non distruttivi sono rapidamente eseguibili e richiedono meno tempo rispetto ai test distruttivi. Ciò consente di ottenere risultati in tempi più brevi, riducendo al minimo l’impatto sulle operazioni quotidiane. Non richiedendo l’accesso a zone pericolose o l’uso di attrezzature pesanti, i CND riducono il rischio per il personale coinvolto nell’analisi. I controlli non distruttivi possono essere utilizzati su una vasta gamma di materiali, tra cui calcestruzzo, acciaio, legno, ceramica e materiali compositi. Sono adatti per molteplici settori, come l’ingegneria civile, l’industria manifatturiera e l’ispezione di impianti.

Più difetti, più indagini, (e) più soluzioni

I test non distruttivi possono individuare difetti interni o degradazione prima che diventino evidenti o causino danni strutturali. Naturalmente, si utilizzano più metodi di indagine. A dimostrazione che non esiste un unico difetto, non esiste un’unica strategia per individuare le criticità di un componente e non esiste nemmeno un unico grado di accessibilità al pezzo da testare. Con i CND si possono rilevare puntualmente danni a materiali e componenti, a tutto vantaggio di affidabilità e sicurezza. Non viene mai compromessa la loro integrità grazie a controlli non invasivi di diversa tipologia, che possono essere volumetrici e in superficie. Tra i primi, valutiamo

il controllo radiografico, laddove ogni imperfezione nelle saldature di acciaio, nichel, titanio e loro leghe viene individuata tramite l’ausilio di indagini a raggi X.

l’emissione acustica, quando la rilevazione avviene tramite onde sonore che, attraversando il componente sotto esame, tornano indietro nel momento in cui riscontrano evidenti anomalie o disomogeneità.

la termografia, che permette di analizzare la risposta termica in presenza di discontinuità. Un componente viene riscaldato e successivamente viene rilevata la temperatura emessa per effetto delle radiazioni infrarosse. Questo metodo ci permette di osservare il difetto termicamente.

Se invece dovessimo optare per le prove superficiali, avremmo a disposizione un tipo di indagine focalizzata su

Controllo magnetico per verificare le variazioni delle alterazioni del flusso magnetico, ma esclusivamente su materiali come ferro, nichel, cobalto.

Esami visivi diretti o remoti, impiegando telescopi, endoscopi o telecamere.

Utilizzo di liquidi penetranti. L’assorbimento di una sostanza liquida fornisce indicazioni sulla presenza e la posizione esatta del difetto.

 Quali sono i danni più comuni?

Quando utilizziamo i controlli non distruttivi, definiamo i difetti in base a criteri riguardanti deformazioni della forma – identificabili con le misurazioni laser o mediante termografia, corrosione – specie di superfici metalliche, come armature realizzate in cemento armato o realizzate in acciaio. Per stabilire il grado di usura, è buona abitudine ricorrere a test specifici o a ispezioni visive. L’analisi visiva è in grado di identificare componenti meccanici non perfettamente integre, così come eventuali scheggiature, bolle d’aria graffi, avvallamenti, fessurazioni e porosità nelle saldature o giunture.

I controlli distruttivi

Se dopo un test un componente non è più utilizzabile, è perché quel pezzo testato è stato sottoposto a controlli distruttivi. Campioni di calcestruzzo o acciaio vengono prelevati dalla struttura esistente, sottoposti a test analitici e prove di natura meccanica, quali taglio o carotaggio.